Per gli amanti della natura il nome di Jacques Perrin non deve suonare nuovo, dato che documentari scientifici dal taglio cinematografico come Himalaya portano la sua firma; in questo caso, Perrin dedica la sua opera al mondo degli uccelli migratori, e ai loro incredibili viaggi sopra i cieli dei cinque continenti.
Il popolo migratore non può però essere considerato come un documentario scientifico rigoroso, ma deve essere visto nell’ottica entro cui il suo autore l’ha creato, ovvero rivolto a un pubblico estremamente ampio e non necessariamente competente, come è consuetudine dell’opera cinematografica. In questo caso infatti non ci troviamo di fronte a un documentario tout-court, con termini e descrizioni scientifiche accurate e approfondite, e anzi la voce narrante si presenta sporadicamente a sottolineare unicamente alcuni eventi fondamentali nel corso del racconto.
Di fronte alle coinvolgenti immagini ripetute all’infinito di uccelli che volano, lo spettatore trova la sua libertà limitata a una dicotomia. Può accettare l’esaltazione della Natura e della sua bellezza. Oppure la sua visione rapita delle immagini digitali prende un piglio più tecnico e investigativo.